Scuola primaria, ritornano i giudizi sintetici, stop ai voti, la riforma che preoccupa gli esperti – L’attenzione si concentra nuovamente sulle valutazioni nelle scuole elementari, sollevando interrogativi su come dovrebbero essere valutati gli studenti. Con il variare dell’orientamento politico, si osserva un mutamento nelle metodologie di valutazione, una tendenza che persiste da anni. Ad oggi, una direzione netta e stabile sembra ancora assente.
Pertanto, l’attuale esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha proposto la sua visione: si abbandonano i giudizi analitici a favore di quelli concisi. Un emendamento, che sarà presentato la settimana entrante dal governo all’interno del disegno di legge per la revisione della valutazione del comportamento, verrà discusso dalla Commissione Istruzione del Senato.
Il modello vigente categorizza le valutazioni in quattro livelli descrittivi: avanzato, intermedio, base, e in fase di iniziale acquisizione. Tali terminologie, secondo il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, risultano essere «incomprensibili» e necessitano di essere rimpiazzate da «valutazioni più dirette e semplici».
Di conseguenza, si prevede il ritorno ai tradizionali giudizi di insufficiente, sufficiente, discreto, buono, distinto e ottimo, rappresentando un compromesso raggiunto. Sebbene questa decisione possa soddisfare l’ambiente politico, genera perplessità tra pedagogisti ed esperti del settore ed incertezza tra gli insegnanti. La questione si pone: voti numerici o giudizi qualitativi?
L’iniziativa del governo non si limita alla semplice assegnazione di voti, ma mira a riformare l’approccio pedagogico implementato nelle scuole negli ultimi tre anni, influenzando anche il ruolo dei docenti nel processo educativo. Nonostante ciò, il contesto educativo in Italia sembra essere in costante evoluzione, spesso mancando di originalità.
Fino a oltre un decennio fa, l’attribuzione di voti numerici era la prassi nel sistema educativo. Tuttavia, nel 2020, l’allora ministra dell’Istruzione del Movimento 5 Stelle, Lucia Azzolina, introdusse un cambiamento abolendo i voti numerici a favore dei giudizi descrittivi, ritenuti più dettagliati e capaci di offrire una visione completa delle abilità e delle competenze degli studenti.
Se fosse dipeso dalla vice-ministra all’Istruzione e al Merito, Paola Frassinetti (Fratelli d’Italia), si sarebbe optato per un ritorno alla scala di valutazione da 0 a 10. Tuttavia, a seguito di una mediazione politica, si è optato per un ritorno ai giudizi concisi, facendo così sembrare che il sistema scolastico italiano faccia un passo indietro nel tempo.
La tematica in discussione è notevolmente controversa. Mentre l’amministrazione attuale considera essenziale reintrodurre un metodo di valutazione “più trasparente e intelligibile”, il sentimento predominante nel settore dell’educazione è di delusione.
La preoccupazione non riguarda soltanto il criterio di valutazione proposto, ma anche la rapidità del cambiamento, ritenuta inappropriata per una decisione così significativa.
Nell’ultimo periodo, diverse associazioni e sindacati operanti nel campo dell’istruzione – inclusi l’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici, il Coordinamento Genitori Democratici, l’Associazione Italiana Maestri Cattolici e la Flc Cgil – hanno esposto le loro preoccupazioni attraverso un comunicato, esprimendo timori per un eventuale ritorno alla valutazione numerica. Con il riacutizzarsi del dibattito, stavolta incentrato sui giudizi riassuntivi, emergono nuove incertezze.
«L’emendamento proposto dal governo mira a smantellare una riforma che è stata introdotta da poco, senza che ne sia stata valutata l’efficacia in alcun modo», è la denuncia sollevata.
«No a politiche carenti di una prospettiva pedagogica»
Le associazioni criticano la mancanza di documentazione riguardante i processi in atto, l’assenza di valutazioni sulle esperienze realizzate nelle scuole e di dialogo con il mondo educativo e della ricerca accademica, rimproverando al governo di interrompere un percorso di innovazione culturale e di prassi valutative.
La decisione governativa è descritta come «priva di fondamento pedagogico», capace di incrementare il carico di lavoro per coloro che hanno già dedicato notevoli energie umane e risorse finanziarie per gestire positivamente i cambiamenti introdotti soltanto tre anni fa.
Di conseguenza, si sollecita un intervento politico orientato verso riforme più riflessive, che non gravino sul sistema scolastico con «politiche disgiunte, contraddittorie e sprovviste di una coerenza pedagogica a lungo termine». Per il momento, la situazione rimane incerta, in attesa che il disegno di legge venga approvato (o respinto) come legge.