Docente Licenziata perché Lesbica, Scuola Condannata al Risarcimento

Nonostante le ultime leggi tutelano i diritti nei confronti degli omosessuali con le unioni civili, ancora molte persone non sono pronte a tale cambiamento. Non affrontiamo in tale articolo le unione gay, ma la discriminazione sul luogo di lavoro dei gay, che in Italia sono più di quanti ci si immagina.

Una domanda che sorge spontanea da porci tutti è: se un medico vi salva la vita, vi importa sapere se è gay o meno?

Se un gay insegna nella scuola di vostro figlio può provocare danni al metodo di studio di vostro figlio?

Potremmo continuare con altri tantissimi esempi, ma negli ultimi giorni sta facendo scalpore la notizia di un’insegnate lesbica della città di Trento che era stata privata dall’istituto scolastico dove lavorava della dignità di docente e di donna che tutti dovremo ricevere.

L’istituto scolastico in questione è l’istituto scolastico privato “Sacro Cuore” che ha deciso di non rinnovare il contratto ad una docente di educazione artistica perché lesbica. La Corte di Appello, ha infatti stabilito che la scuola dovrà pagare 45mila euro alla donna discriminata, oltre a tale somma l’istituto scolastico dovrà risarcire di euro 10mila la Cgil e all’Associazione radicale Certi Diritti.

La notizia è stata resa nota da Il Fatto Quotidiano, che riporta, secondo la Corte d’appello è stata “accertata la natura discriminatoria per orientamento sessuale, individuale e collettiva, della condotta attuata dall’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento in ordine alla selezione per l’assunzione degli insegnanti” e va ordinata “all’Istituto l’immediata cessazione di tale condotta”.

La donna che con estrema felicità ha appreso tale discriminazione lavorativa bocciata dalla corte di appello proprio il giorno della donna l’8 marzo scorso afferma:

“mi ritengo finalmente reintegrata nella mia dignità di docente e di donna, fatto che assume una particolare importanza proprio oggi. Il riconoscimento espresso della falsità delle dichiarazioni era per me prioritario, al di là di ogni risarcimento di denaro. È stata accertata la diffamazione e la ritorsione che ho subito con le dichiarazioni dell’Istituto alla stampa nazionale” prosegue “Nulla di peggio si poteva dire a un’insegnante se non che abusava del proprio ruolo per turbare i ragazzi. E sono anche contenta che in Italia si ribadisca che la vita privata di ognuna e ognuno è per l’appunto privata e che nessun datore di lavoro può entrare nelle nostre famiglie e chiedere chi siamo, chi amiamo o se vogliamo come donne abortire o meno”.

“Le ragioni della sentenza di primo grado, di affermazione della discriminazione diretta e della discriminazione diretta collettiva, scrivono i giudici, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non sono affatto frutto di grossolani errori, sviste, omissioni e fraintendimenti, e vanno condivise”.

Di tale ricorso si ritiene soddisfatto anche il segretario provinciale della Cgil, Franco Ianeselli che afferma: “ci siamo impegnati su questo caso perché siamo convinti che nessun lavoratore o lavoratrice possa essere giudicato o discriminato per il suo orientamento sessuale. Coerentemente con questo principio siamo pronti a usare il maggior risarcimento riconosciuto alla nostra organizzazione a sostegno di progetti per le pari opportunità e contro le discriminazioni”.

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