L’importanza storica dell’Università Popolare di Milano è scritta a grandi lettere nella storia del nostro paese e della città di Milano in particolare. Ogni evoluzione sociale e culturale che ha toccato la metropoli lombarda nell’ultimo secolo vede intrecciarsi la formazione, la cultura e la storia dell’Università Popolare.
Proprio così: sono ormai passati più di cento anni da quando nel lontano marzo 1901 l’Università Popolare (oggi Università Popolare degli Studi di Milano) è stata fondata e da quel giorno, da quella data per noi estremamente importante, l’Università Popolare ha attraversato tutte le fasi storiche, e anche linguistiche, della metropoli lombarda.
Nasce con il detto “Milanin Milanon” che sentivamo ogni tanto menzionare dai nostri nonni o bisnonni, per arrivare per arrivare alla “Milan con il cor in man” a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, per poi giungere alla “Milano da bere” e alla “Milano che non si ferma”. L’università popolare è cresciuta all’interno dell’evoluzione di questa città dando il suo contribuito prezioso di educazione e formazione.
L’Università Popolare nasce proprio quando Milano si trova ad affrontare il problema delle case per i lavoratori vedendo la nascita di importanti associazioni come; la Società cooperativa edificatrice di case operaie, bagni e lavatoi pubblici ( nata nel 1861) e della Società Edificatrice di case operaie( sorta nel 1879); nasce per dare un suo contributo al bisogno, accanto a quelli più immediati della casa e dei diritti sul lavoro, di cultura, ma una cultura che non fosse un circolo chiuso e ridotta a pochi; una cultura, e una formazione, che potessero essere davvero aperte a tutti e in particolare agli operai e ai lavoratori, unitamente a tutte quelle persone che per un motivo o un altro non potevano accedere a studi e formazione di qualità.
Sono anche gli anni in cui si muove qualcosa anche a livello legislativo per far fronte ai problemi delle famiglie povere degli alunni. Si pensi che nel 1900 saranno 8000 i ragazzi che potranno beneficiare, gratuitamente, del servizio di refezione.
Erano gli anni in cui l’Italia occupava il secondo posto, dopo il Portogallo, per il numero di analfabeti nei paesi europei, una percentuale che raggiungeva il 48,9%, praticamente la metà del Paese.
Ed erano anche gli anni in cui nascevano le Biblioteche Popolari, il cui Congresso costitutivo si farà nel 1898, unitamente alle cattedre ambulanti di agricoltura.
L’Università popolare nasce durante questi straordinari fermenti e ne resta custode, testimone e fedele discepola anche quando, si abbandonerà il concetto de “l’uno per tutti e tutti per uno” che vedeva l’unità come vero distinguo della forza per arrivare, ai giorni nostri, in una società sempre più individualistica dove trionfa il nuovo motto “ciascuno per sé”.
Un passaggio che la metropoli lombarda ha pagato caramente dal punto di vista demografico basti pensare che si è passati dal massimo storico di 1.725.000 del 1971 a 1.300.000 nel 2000.
Il 5 gennaio 1901 venne quindi votato a grande maggioranza l’articolo 1 dello Statuto dell’Università popolare che recita: “È istituita in Milano un’associazione intitolata Università Popolare, che ha per scopo diffondere nelle classi popolari, con metodi moderni, l’istruzione scientifica, tecnica ed estetica, associata al concetto di civile educazione».
Non solo ci si rivolgeva ai molti che erano stati tagliati fuori dalla società, ma si indicava ai docenti di «non far lezioni né conferenze per soddisfazione propria ma solo per l’utile altrui».
L’idea nobile e alta dell’Università Popolare cominciò a diffondersi rapidamente e si stabilì che studenti, operai e impiegati pagassero 25 centesimi al mese (basti pensare che allora un chilo di pane costava 35 centesimi).
Con tale somma si poteva stare al caldo in una sala di lettura, biblioteca, emeroteca e assistere alle conferenze nelle varie sedi dei primi anni: una su tutte, Via Foscolo 2. L’iscrizione ai corsi richiedeva una tessera di 15 centesimi e offriva un più che nobile attestato che per molti anni si è visto incorniciato nelle case dei milanesi.
Essere accolti nel circolo dei suoi conferenzieri era qualcosa di ambito, tanto che vi entrò persino Filippo Tommaso Marinetti, allora non ancora in guerra con le varie accademie.
Non paga di ciò, la collaborazione di due preziosi consiglieri dell’università, Fabietti e Osimo, che diedero alla luce la famosa collana rossa: una serie di libri didattici di argomenti generali e pratici che furono distribuiti ai soci. Nel 1913 il catalogo vantava già più di 60 titoli con autori di specchiata fama e professionalità.
Nel biennio 1907-1909 si tennero ben 389 incontri e all’inaugurazione fece un discorso memorabile il poeta Gabriele D’Annunzio che lì si definì “duro operaio della parola”
Nel 1922 con l’arrivo del Fascismo al potere l’Università Popolare, dopo battaglie tra cui l’impedire da parte dei fascisti a Guglielmo Ferrero di poter parlare in università. L’Università lottò per ostacolare l’assimilazione fascista e votò, all’unanimità, una modifica dello statuto in cui si dichiara che «il vessillo sociale è la bandiera d’Italia con lo stemma di Milano e dell’UPM.
Esso segnerà gli eventi lieti e tristi dell’associazione, della città e della patria». Niente gagliardetti fascisti, ma non basterà, l’Università verrà di fatto commissariata.
Nel 1945, grazie all’attivismo di Emiliano Zazo, l’università popolare torna a vivere nella sede di Corso Monforte 30. L’albo delle elezioni torna ad impreziosirsi di grandi nomi come Carlo Cordiè, Francesco Flora, e Diego Valeri.
La presidenza di Emiliano Zazo, in continuo crescendo di studenti e d’incontri, continuerà fino al 1970-71 in una sorta di continua linea che porterà alla guida dell’Università Popolare di Tina Lagostena bassi. Una donna e un avvocato che ha contribuito con forze e determinazione a fare la storia dei diritti civili e sociali di questo paese.
In prima fila per i diritti delle donne, ancora oggi si ricordano le sue vibranti parole in difesa delle ragazze stuprate al Circeo, parole secche e vibranti che scossero la cultura patriarcale e maschilista dell’allora paese.
Non paga di ciò fu in prima linea nel fondare telefono rosa a sostegno di tutte le donne che subivano violenza, anche domestica, per poter dare un primo aiuto anche legale. Preziosa e densa di significato la sua attività politica e parlamentare e la sua passione e dedizione verso gli ultimi e verso i suoi studenti per cui aveva sempre grande disponibilità e conforto.