Intelligenza artificiale, 2 adolescenti su 3 hanno usato Chat GPT e altre AI

La penetrazione dell’intelligenza artificiale “generativa” tra gli adolescenti italiani è impressionante, con ben due su tre che rivelano di aver utilizzato applicazioni AI per generare autonomamente contenuti vari – testi, immagini, audio, e altro – a partire da semplici comandi. Questa tendenza non si limita esclusivamente a Chat GPT di Open AI, ma si estende anche ad altri strumenti come Dall-e, Midjourney, Stable Diffusion, Make-A-Video, evidenziando una propensione crescente delle nuove generazioni a sfruttare le potenzialità della tecnologia per facilitare e velocizzare la produzione di materiale scolastico o per sperimentare con contenuti originali e virali sui social media.

Nonostante l’ampio utilizzo, una quota del 35% degli adolescenti mantiene una certa distanza da queste tecnologie, anche se la familiarità generale con il concetto di intelligenza artificiale è ormai quasi universale: il 97% degli intervistati dichiara di averne almeno sentito parlare. Questo dato testimonia un cambiamento radicale nella percezione dell’AI, passata da argomento di nicchia a fenomeno di ampio riconoscimento in pochi anni.

Queste informazioni emergono da un’indagine di ampio respiro condotta da Generazioni Connesse – il Safer Internet Centre Italiano, sotto la coordinazione del ministero dell’Istruzione e del Merito, e realizzata in collaborazione con Skuola.net, l’Università degli Studi di Firenze e la Sapienza Università di Roma – CIRMPA.

L’indagine, parte delle iniziative per il Safer Internet Day 2024, ha coinvolto 2.315 studenti di scuole secondarie di primo e secondo grado, riflettendo l’ampia diffusione e il profondo impatto delle tecnologie AI sulla vita quotidiana e sul percorso educativo dei giovani.

La crescente diffusione delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale (AI) tra i giovani mette in evidenza la necessità di una maggiore consapevolezza riguardo ai loro limiti e potenzialità. Sebbene l’utilizzo dell’AI possa rappresentare un’abilità fondamentale per il futuro, emerge chiaramente la problematica legata alla gestione e alla comprensione di questi strumenti.

Gli algoritmi, infatti, non sono esenti da imperfezioni e i contenuti generati possono risultare inaccurati o, in alcuni casi, deliberatamente falsi. Questa situazione richiede un’abilità critica che molti giovani ancora non possiedono: solo il 27% degli intervistati è in grado di comprendere e spiegare, seppur in linea generale, il funzionamento del “deep learning” generativo.

La familiarità con l’AI, nonostante sia un fenomeno relativamente recente diventato di massa, si scontra con la lunga presenza di queste tecnologie nelle nostre vite quotidiane, in particolare attraverso i social network. Questi ultimi, guidati da potenti algoritmi, influenzano notevolmente il comportamento online degli adolescenti, i quali spesso perdono la nozione del tempo trascorso in rete, con una percentuale dell’82% che si ritrova a navigare online ben oltre le proprie intenzioni.

Nonostante ciò, molti giovani ritengono di poter controllare o influenzare questi algoritmi, una convinzione che sottolinea un evidente bisogno di educazione e consapevolezza digitale.

In questo contesto, la scuola assume un ruolo cruciale. Essa rappresenta il principale ambiente formativo dove i giovani possono acquisire conoscenze essenziali non solo in ambito accademico ma anche in relazione al mondo digitale e alle sue insidie. Sorprendentemente, il 75% degli studenti afferma di aver appreso informazioni importanti sui pericoli dell’uso improprio della rete principalmente dai propri insegnanti, dimostrando l’efficacia dell’educazione scolastica in questo ambito.

Tuttavia, per affrontare le sfide poste dall’AI, è fondamentale che i programmi scolastici si arricchiscano includendo specificamente l’intelligenza artificiale tra i temi trattati. Attualmente, questa materia rimane spesso esclusa dai curricoli, nonostante la sua rilevanza e l’impatto sulla vita degli studenti.

Integrare l’AI nei programmi di studio non solo colmerebbe un gap di conoscenza ma contribuirebbe a formare cittadini digitali più consapevoli, capaci di navigare nel mondo digitale con discernimento e responsabilità.